«Perché tutti siano
una sola cosa» (Gv 17, 21)
È l’ultima accorata preghiera che
Gesù rivolge al Padre. Sa di chiedere la cosa che più gli sta a cuore. Dio
infatti ha creato l’umanità come la sua famiglia, con la quale condividere ogni
bene, la sua stessa vita divina. Cosa sognano i genitori per i figli se non che
si vogliano bene, si aiutino, vivano uniti tra loro? E qual è il loro più
grande dispiacere se non quello di vederli divisi per gelosie, interessi
economici, fino al punto da arrivare a non parlarsi più? Anche Dio ha sognato
da tutta l’eternità la propria famiglia unita nella comunione d’amore dei figli
con lui e tra di loro. Il drammatico racconto delle origini ci parla del
peccato e della progressiva frantumazione della famiglia umana: come leggiamo
nel libro della Genesi l’uomo accusa la donna, Caino uccide il proprio
fratello, Lamec si vanta della sua spropositata vendetta, Babele genera
l’incomprensione e la dispersione dei popoli… Il progetto di Dio sembra
fallito. Egli tuttavia non si dà per vinto e con tenacia persegue la
riunificazione della propria famiglia. La storia riparte con Noè, con la scelta
di Abramo, con la nascita del popolo eletto; e avanti, fino a quando decide di
mandare suo figlio sulla terra affidandogli la grande missione: radunare in una
sola famiglia i figli dispersi, raccogliere le pecore smarrite in un solo
gregge, abbattere i muri di separazione e le inimicizie tra i popoli per creare
un unico popolo nuovo (cf. Ef 2,14-16). Dio non smette di sognare l’unità, per
questo Gesù gliela chiede come il dono più grande che egli può implorare per
tutti noi: Ti prego, Padre,
«Perché tutti siano
una sola cosa».
Ogni famiglia porta l’impronta
dei genitori. Così quella creata da Dio. Dio è Amore non soltanto perché ama la
sua creatura, ma è Amore in se stesso, nella reciprocità del dono e della
comunione, da parte di ognuna delle tre divine Persone verso le altre. Quando
dunque ha creato l’umanità egli l’ha plasmata a sua immagine e somiglianza e vi
ha impresso la sua stessa capacità di relazione, in modo che ogni persona viva
nel dono scambievole di sé. L’intera frase della preghiera di Gesù che vogliamo
vivere questo mese dice infatti:
«Perché tutti siano
una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi».
Il modello della nostra unità è
niente meno che l’unità esistente tra il Padre e Gesù. Sembra impossibile,
tanto essa è profonda. Essa è tuttavia resa possibile da quel come, che
significa anche perché: possiamo essere uniti come sono uniti il Padre e Gesù proprio
perché ci coinvolgono nella loro stessa unità, ce ne fanno dono.
«Perché tutti siano
una sola cosa»
È proprio questa l’opera di Gesù,
fare di tutti noi una cosa sola, come lui lo è con il Padre, una sola famiglia,
un solo popolo. Per questo si è fatto uno di noi, si è caricato delle nostre
divisioni e dei nostri peccati inchiodandoli sulla croce. Egli stesso ha
indicato la strada che avrebbe percorso per portarci all’unità: «Quando sarò 2
elevato da terra attirerò tutti a me» (Gv 12, 32). Come profetizzato dal sommo
sacerdote, «doveva morire (...) per riunire insieme i figli di Dio che erano
dispersi» (Gv 11, 52). Nel suo mistero di morte e risurrezione, ha riassunto
tutto in sé (cf. Ef 1,10), ha ricreato l’unità spezzata dal peccato, ha rifatto
la famiglia attorno al Padre e ci ha resi nuovamente fratelli e sorelle tra di
noi. La sua missione Gesù l’ha compiuta. Adesso rimane la nostra parte, la
nostra adesione, il nostro “sì” alla sua preghiera:
«Perché tutti siano
una sola cosa»
Qual è il nostro contributo
all’adempimento di questa preghiera? Innanzitutto farla nostra. Possiamo
prestare labbra e cuore a Gesù perché continui a rivolgere queste parole al
Padre e ripetere ogni giorno con fiducia la sua preghiera. L’unità è un dono dall’alto,
da chiedere con fede, senza stancarci mai. Essa inoltre deve rimanere
costantemente in cima ai nostri pensieri e desideri. Se questo è il sogno di
Dio vogliamo che sia anche il nostro sogno. tanto in tanto, prima di ogni
decisione, di ogni scelta, di ogni azione, potremmo domandarci: serve per
costruire l’unità, è il meglio in vista dell’unità? Dovremmo infine correre là
dove le disunità sono più evidenti e prenderle su di noi, come ha fatto Gesù.
Possono essere attriti in famiglia o tra persone che conosciamo, tensioni che
si vivono nel quartiere, disaccordi nell’ambiente di lavoro, in parrocchia, tra
le Chiese. Non sfuggire i dissidi e le incomprensioni, non restare
indifferenti, ma portarvi il proprio amore fatto di ascolto, di attenzione
all’altro, di condivisione del dolore che nasce da quella lacerazione. E
soprattutto vivere in unità con quanti sono disponibili a condividere l’ideale
di Gesù e la sua preghiera, senza dare peso a malintesi o a divergenze di idee,
contenti del “meno perfetto in unità che del più perfetto in disunità”,
accettando con gioia le differenze, anzi considerandole una ricchezza per
un’unità che non è mai riduzione a uniformità. Sì, questo a volte ci metterà in
croce, ma è proprio la strada che Gesù ha scelto per rifare l’unità della
famiglia umana, la strada che anche noi vogliamo percorrere con lui.
Fabio Ciardi
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